Il dott. Buffone, con decreto del 3.11.2014, ha affermato che se il genitore di una persona incapace lascia un testamento contenente le sue ultime volontà nell’interesse del figlio, il Giudice Tutelare, cui viene richiesta la nomina di un amministratore di sostegno, deve prendere in considerazione tali ultime volontà. In particolare ciò vale se il genitore abbia richiesto che il figlio non venga ricoverato in strutture di assistenza per persone disabili. Il decreto è commentato dall’avv. Donatella Falaguerra.

Il dott. Buffone, con decreto del 3.11.2014, ha affermato che nel caso in cui un genitore di una persona incapace abbia lasciato per testamento le proprie volontà rispetto alla collocazione del figlio, queste debbano essere tenute in considerazione dal Giudice Tutelare nel procedimento dell'amministrazione di sostegno.
Il caso esaminato riguarda una procedura aperta su ricorso del padre, che è stato nominato amministratore di sostegno del figlio disabile, in via provvisoria, dopo la morte della moglie, ma che non è stato confermato nel successivo decreto.
Il Giudice Tutelare ha tenuto nella massima considerazione le volontà della madre che si era sempre occupata del figlio e che aveva lasciato scritto espressamente che sarebbe stata auspicabile la nomina di un amministratore di sostegno affinché si occupasse della cura e della gestione dei suoi beni e che garantisse che il figlio non venisse mai abbandonato o "parcheggiato" in una struttura per persone disabili. Il Giudice Tutelare, secondo cui il fatto che la madre non avesse indicato il padre come amministratore di sostegno, oltre al fatto che, rivestendo entrambi la qualità di eredi, configurava un conflitto d interessi tra padre e figlio, nominava amministratore di sostegno una persona esterna alla famiglia (un avvocato) con il preciso compito di seguire le volontà della madre che si era fatta "portavoce del preminente interesse del beneficiario" . In particolare l'amministratore di sostegno avrà "il dovere di garantire al beneficiario un ambiente autonomo, lontano dalle strutture di ricovero" , utilizzando i beni del beneficiario e l'eredità della madre per usufruire di assistenza specializzata.
Il Giudice Tutelare ha previsto, altresì, che l'amministratore di sostegno "dovrà periodicamente confrontarsi con il medico curante ed i sanitari che seguono il beneficiario per comprendere se urgenze a tutela della salute richiedono un diverso collocamento, non altrimenti, evitabile".
Il Giudice non ha fatto altro che ascoltare la" voce" della persona fragile, riportata da colei che più si è occupata delle esigenze del figlio, e ha dato seguito, quasi come se fosse un esecutore testamentario, alla realizzazione delle stesse ,mantenendo il beneficiario presso il proprio domicilio, verificando, tramite i sanitari, se la soluzione indicata sia adeguata.
La decisione commentata farà tirare un sospiro di sollievo ai genitori, preoccupati per il futuro dei propri figli disabili, perché possono confidare che un Giudice potrà prendere in considerazione le loro sofferte ultime volontà.

Risorse:

 
 

 

 

Quando una persona mette in atto comportamenti pericolosi per sé e per altri, e rifiuta di curarsi, si deve ricorrere all’interdizione. Nel caso sotto riportato il Giudice Tutelare ha trasmesso gli atti al Pubblico Ministero perché valutasse la presentazione dell’interdizione.

Uno dei motivi per cui si si può richiedere la nomina dell'amministratore di sostegno è per il cosiddetto "disagio psichico". In alcune forme più gravi, le persone che ne sono affette, arrivano addirittura a tentare il suicidio. Per tali persone è necessaria una misura di protezione giuridica.
Al Tribunale di Milano, nell'estate scorsa, è stata presentata una richiesta di nomina di amministratore di sostegno per una ragazza affetta da psicosi cronica, con caratteristiche persecutorie tali da indurla ripetutamente a tentare il suicidio. 
Dall'anamnesi della persona interessata è risultato che da dieci anni aveva avuto diversi TSO. Le ultime condotte della beneficianda sono state di particolare gravità dato che la stessa ha cercato di incendiare o allagare la palazzina di tre piani di sua proprietà.
Il Giudice Tutelare di Milano, dott. Buffone, con decreto del 27.8.2013, ha rigettato la richiesta di nomina dell'amministratore di sostegno, ordinando la trasmissione degli atti al Pubblico Ministero perché valutasse la richiesta di interdizione. Nel decreto il Giudice ripercorre l'iter clinico della persona fragile, evidenziando il primo tentativo di suicidio risalente al 2001; altri tentativi si sono ripetuti nel tempo, sino a raggiungere livelli di rischio per l'intero tessuto sociale. Il Giudice Tutelare, nella motivazione, richiama la giurisprudenza pressoché unanime della Corte di Cassazione secondo cui si deve ricorrere all'interdizione in quei casi in cui la protezione giuridica dell'amministrazione di sostegno si riveli inadeguata, come nel caso in cui appaia necessario inibire alla persona fragile di compiere atti pregiudizievoli per sé. Parimenti, sempre secondo la Suprema Corte, l'amministrazione di sostegno è da escludere "per l'attitudine del soggetto protetto a porre in discussione i risultati dell'attività di sostegno nei suoi confronti". Osserva altresì il Giudice Tutelare che l'amministrazione di sostegno rischierebbe di pregiudicare in modo gravissimo la persona protetta in quanto le tendenze al suicidio "non potrebbero essere inibite prontamente ed in modo efficace". Il dott. Buffone conclude il provvedimento con una considerazione che centra appieno il sistema di protezione giuridica, affermando che: "In ipotesi del genere, insomma, è la misura di totale limitazione delle capacità di agire che deve essere applicata alla persona da proteggere: non certo per rievocare lo stigma che la coscienza contemporanea ripudia e la normativa di nuovo conio combatte, bensì per fornire una risposta di protezione più adeguata, efficace, con valenza giuridica".

 
 

 

 

La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 9389 del 17.4.2013, risolve il dubbio interpretativo della scelta tra il foro della residenza o del domicilio del beneficiario, visto che per la presentazione del ricorso la legge li menziona entrambi. La scelta della Suprema Corte ricade sul foro del domicilio ritenendo che questo rappresenti il centro degli interessi del beneficiario e che per tale motivo sia il più idoneo a tutelarne gli interessi.

La risposta al quesito viene data dalla Corte di Cassazione che, con ordinanza n. 9389 del 17.4.2013, ha risolto un conflitto di competenza, richiesto d'ufficio dal Tribunale di Varese, per individuare la competenza territoriale tra la residenza e il domicilio del beneficiario, indicando come foro competente quello del domicilio. Il caso riguarda una persona con disagio psichico per cui era stata richiesta ed ottenuta dal Tribunale di Varese, quale luogo della residenza anagrafica, l'amministrazione di sostegno. In realtà il beneficiario viveva stabilmente presso una Comunità per un percorso riabilitativo di lunga durata. 
Su richiesta della sorella del beneficiario il Giudice Tutelare di detto Tribunale, rilevato che la dimora abituale del familiare ricadeva nella circoscrizione del Tribunale di Busto Arsizio, disponeva allo stesso la trasmissione degli atti. Il Tribunale di Busto Arsizio, però, dichiarava la propria incompetenza privilegiando il criterio della residenza anagrafica e restituiva gli atti al Tribunale di Varese che presentava alla Corte di Cassazione regolamento di competenza.
La Corte Suprema ha dichiarato la competenza del tribunale di Busto Arsizio, dato che il beneficiario aveva domicilio nel distretto di quel tribunale, trovandosi stabilmente per un lungo periodo. La Cassazione, nella propria ordinanza, opera anche il discrimine tra ricovero temporaneo e/o non continuativo e ricovero di lunga durata: solo quest'ultimo determina lo spostamento del "centro dei propri interessi" e quindi della competenza territoriale.
Le motivazioni su cui la Corte fonda il proprio convincimento si incentrano proprio sulla persona del beneficiario, risultando "valorizzate le precipue caratteristiche dell'amministrazione di sostegno, che pongono in evidenza la necessità che il beneficiario interloquisca con il giudice tutelare, il quale deve tener conto, nella maniera più efficace e diretta, dei bisogni e delle cui richieste, anche successivamente alla nomina dell'amministratore (artt. 410 e 411 c.c.)". La Corte afferma pure: "A ben vedere il provvedimento del Busto Arsizio determina un risultato assolutamente contrastante con l'indicata finalità, peraltro in assenza di qualsiasi valido supporto normativo". Afferma altresì la Corte: "Non può omettersi di considerare che l'art. 407 c.c., nell'enumerare le indicazioni richieste per la presentazione del ricorso per l'istituto dell'amministrazione di sostegno, espressamente prevede, oltre alle generalità, la "dimora abituale" del beneficiario, prescrivendo che il giudice tutelare senta personalmente la persona cui il procedimento si riferisce, recandosi, ove occorra, "nel luogo in cui questa si trova", potendo "in ogni tempo" modificare o integrare, anche d'ufficio, le decisione assunte con il decreto di nomina dell'amministratore di sostegno. Ne consegue che anche nell'ambito dell'esercizio di tali poteri il giudice tutelare deve, soprattutto nei casi in cui si verifichino contrasti fra l'amministratore e il beneficiario, tener conto dell'interesse, dei bisogni e delle richieste del secondo (artt. 410 e 411 c.c.): l'esigenza di interloquire con il beneficiario stesso verrebbe ad essere gravemente frustrata dalla sua permanenza in località estranea al circondario del tribunale".
La Corte, riportandosi alle motivazioni dell'ordinanza del Tribunale di Varese con cui veniva denunciato il conflitto di interesse, fa anche diretto riferimento alla convenzione dell'Aja del 13 gennaio 2000 per la protezione internazionale degli adulti "vulnerables" dove si fa riferimento al concetto di "residenza abituale", comunemente interpretato nel senso della necessità di individuare un foro maggiormente idoneo a tutelare l'interesse dell'adulto incapace.

 
 

 

 

La Corte di Cassazione, sezione 6° penale, con sentenza del 23.9.2013, n. 39217, ha annullato la condanna pronunciata nei confronti di un figlio che contro la volontà dell’amministratore di sostegno, aveva portato la madre nella sua terra d’origine.

La scelta del domicilio del beneficiario è spesso fonte di attrito tra lo stesso beneficiario e i suoi parenti. Non sempre il decreto di nomina attribuisce esplicitamente all'amministratore di sostegno il potere di scegliere il luogo in cui deve vivere il proprio assistito. Per inquadrare la problematica si deve partire dal considerare la finalità della legge 6/2004 che è quella di tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità di agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia. Coerentemente l'art. 409 c.c. statuisce che il beneficiario conserva la capacità di agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l'assistenza necessaria dell'amministratore di sostegno. L'art. 410 c.c. sancisce che nello svolgimento dei compiti l'amministratore di sostegno deve tenere conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario. Spesso il beneficiario, riguardo alla scelta del suo domicilio, è in grado di manifestare il proprio desiderio che deve essere tenuto in considerazione dall'amministratore di sostegno. Altre volte, invece, il beneficiario non è più in grado di esprimere la sua volontà. Nella scelta si dovrebbe comunque tenere conto del suo desiderio, se, in passato, lo aveva manifestato.
In una recentissima sentenza (23.9.2013, n. 39217) la Corte di Cassazione, sezione 6° penale, ha annullato la condanna pronunciata nei confronti di un figlio che, contro la volontà della sorella, amministratore di sostegno, aveva esaudito il desiderio della madre, più volte espresso in ambito familiare, di tornare in Sicilia, sua terra d'origine.

Tale comportamento, secondo la Corte, non configura alcun reato, atteso che il decreto di nomina non aveva disposto uno "specifico e incoercibile affidamento residenziale dell'anziana"né aveva disposto sulla sua eventuale incapacità di determinarlo in piena autonomia e consapevolezza. Precisa la Corte: "né del resto, il provvedimento del giudice tutelare ex art. 414 c.c. avrebbe potuto disporre in termini diversi". Motiva la Cassazione che all'amministratore di sostegno era stato conferito il potere di compiere, in nome e per conto della beneficiaria, alcuni atti di ordinaria amministrazione, ferma restando per la beneficiaria la facoltà di compiere personalmente tutti gli atti necessari a soddisfare le proprie esigenze quotidiane che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l'assistenza necessaria dell'amministratore di sostegno. La Corte di Cassazione ribadisce che il legislatore non considera la persona beneficiaria incapace di intendere e di volere, dato che esplicitamente sancisce che ella conserva la capacità di agire per quegli atti che non sono contemplati nel decreto di nomina.

 
 

 

 

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 23707 del 20.12.2012, interviene a sottolineare che l’attualità dell’infermità o dell’incapacità del soggetto beneficiario è condizione indispensabile per attivare l’amministrazione di sostegno e chiarisce il ruolo e i limiti che tale istituto può avere nell’ambito delle direttive anticipate di trattamento sanitario (DAT), un tema che il nostro ordinamento non ha ancora disciplinato. Pubblichiamo una riflessione di Donatella Falaguerra e Anna Maria Delitala del Progetto AdS di Lecco quale introduzione e sintesi della sentenza che si richiama integralmente.

La Corte di Cassazione, ritorna sull'argomento della richiesta di amministrazione di sostegno da parte di una persona capace in previsione di una propria futura incapacità ed affronta il tema oggi tanto discusso delle DAT (Dichiarazioni Anticipate di Trattamento).
Il caso trattato riguarda la richiesta di una signora che ha designato, con scrittura privata autenticata da notaio, il proprio amministratore di sostegno, precisando anche le proprie volontà in merito alle cure mediche cui essere o non sottoposta in futuro conferendo allo stesso, pieni poteri per ogni decisione in merito.

Subito dopo la signora ha richiesto al Giudice Tutelare di Trento la nomina dell'amministratore di sostegno da lei già designato. Il Giudice ha dichiarato la richiesta inammissibile; dello stesso parere era la Corte d'Appello che ha precisato che la richiesta non può provenire da persona pienamente capace presupponendo uno stato di incapacità attuale e non futuro.

La Corte di Cassazione, nel respingere il ricorso, precisa che la richiesta di nomina di amministratore di sostegno debba essere presentata solo nel caso in cui l'incapacità sia attuale.

Nella sentenza la Corte, pur ammettendo l'estraneità al tema trattato, affronta il tema delle direttive anticipate di trattamento sanitario indicando, in mancanza di una legge specifica sulle DAT, il percorso per fare valere le stesse volontà, attraverso la richiesta di nomina di amministratore di sostegno. Sarà quest'ultimo che farà valere le volontà manifestate dalla persona interessata, con atto pubblico o scrittura privata autenticata, per cui non sarà più necessario ricostruire, tramite testimonianze, la volontà del beneficiario.

La sentenza che qui si commenta conferma alcuna giurisprudenza di merito (Tribunale Modena, Varese, Treviso) che aveva già indicato il percorso dell'istituto dell'amministratore di sostegno quale strumento per fare valere le volontà anche di fine vita.
Si è tanto discusso sul così detto testamento biologico, sulle direttive di fine vita che non sono state ancora regolamentate dal nostro Legislatore.

Sia i sostenitori del testamento biologico, sia la Cassazione, si basano sul valore fondamentale della dignità umana ed i principi posti a tutela della stessa sono uguali per entrambi:

  • Art. 32 Costituzione che prevede che il trattamento sanitario sia volontario in coerenza con gli artt. 2 e 13 della Costituzione
  • Artt. 2-3-35 della Carta di Nizza dei diritti fondamentali dell'Unione Europea
  • Artt. 5-9-21 della Convenzione di Oviedo che impongono di tenere conto, in merito ad un intervento medico, dei desideri del paziente non in grado di esprimere la propria volontà
  • Art. 38 del Codice Deontologico Medico che impone al medico il rispetto di quanto precedentemente manifestato dal paziente in modo certo e documentato
  • Documento del Comitato Nazionale per la Bioetica che ammette sia preferibile far valere le indicazioni espresse dal malato quando in possesso delle sue facoltà.

Diverse sono però le soluzioni cui sono pervenuti i sostenitori del testamento biologico per manifestare le volontà di fine vita. Infatti essi hanno realizzato:

  • la costituzione dei registri delle DAT presso alcuni Comuni
  • raccolta delle DAT da parte della Chiesa Valdese

In entrambe le soluzioni indicate è prevista la figura di un fiduciario che farà valere le volontà manifestate dalla persona interessata.
In attesa che la materia venga regolamentata da un'apposita legge, si ritiene che strada indicata dalla Corte di Cassazione sia la più sicura e percorribile

  • Designazione dell'amministratore di sostegno tramite atto pubblico o scrittura privata autenticata che contengono anche le volontà riguardo ai trattamenti sanitari anche di fine vita
  • Presentazione, nel momento del verificarsi dell'incapacità, della richiesta di nomina dell'amministratore di sostegno
  • Prestazione da parte dell'amministratore di sostegno del consenso o del dissenso degli atti di cura.

Donatella Falaguerra e Anna Maria Delitala del Progetto AdS di Lecco

 
 

 

 
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